La Legge del più forte
rubrica mensile a cura di Luca Picotti
È sovrano chi decide sulla sicurezza nazionale, per parafrasare Carl Schmitt. L’eccezione di sicurezza nazionale è parte integrante di ogni ordinamento, anche di quelli più sofisticati e percorsi da garanzie procedurali, pesi e contrappesi: quando vi sono da tutelare gli interessi fondamentali dello Stato, è possibile derogare all’ordinario, impedendo l’esecuzione di un contratto, bloccando un investimento, limitando la circolazione di merci e persone, invocando immunità e segretezza. La decisione? Politica, e dunque arbitraria. E chi decide? Un indizio lo si ricava direttamente dal concetto stesso: è sicurezza nazionale, ossia della nazione, impersonificata nella forma dello Stato così come emersa dal paradigma vestfaliano (1648). La sicurezza non è né comunale, né regionale, né tantomeno sovranazionale. L’eccezione è pacificamente in capo agli Stati, detentori legittimi del monopolio della forza e, di conseguenza, dell’unità giuridica che sfocia nel potere dell’eccezione. Tale prerogativa si evince dai molteplici piani ove si muove lo Stato. Ad esempio, tutti gli ordinamenti sono costellati da richiami alla sicurezza nazionale, come eccezione che permette di derogare all’ordinario (ad esempio, incidendo sull’autonomia privata, si pensi ai controlli sugli investimenti esteri); ancora, la sovranità dell’eccezione si manifesta nei poteri di veto, insiti in ogni organizzazione sovranazionale: l’Onu, al netto della sua rilevanza, non sarebbe mai stato concepito senza il veto in capo ai membri del Consiglio di sicurezza; di nuovo, la sicurezza nazionale è un’ombra che si muove latente anche in sistemi multilaterali come l’Organizzazione mondiale del commercio, che non solo si trova oggi paralizzata dall’inerzia di un singolo Stato (gli Stati Uniti, che bloccando la nomina dei giudici dell’organo di appello ne impediscono di fatto il funzionamento), ma che all’art. XXI del GATT prevede un’espressa eccezione di sicurezza nazionale.
Un caso particolarmente interessante è quello del rapporto tra Stati membri e Unione europea, il più originale e ambizioso tentativo di superare il paradigma vestfaliano. Chi è sovrano? Almeno due elementi suggeriscono che tale potere sia ancora, pacificamente, in capo agli Stati: in primo luogo, come sottolineato dal grande giurista tedesco Dieter Grimm, l’Unione europea non è un potere costituente, ma costituito, creato e partecipato da Stati, che rimangono dunque sovrani in quanto detentori del potere costituente; dall’altro, l’intera infrastruttura giuridica europea, a partire dai Trattati, riconosce nella sicurezza nazionale il limite del proprio operare. In altre parole, la sicurezza nazionale rimane, per l’appunto, nazionale.
Leggiamo infatti all’art. 4, paragrafo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), che l’Unione «Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro». Si rimarca, dunque, in uno degli articoli fondanti dei Trattati, l’esclusiva competenza degli Stati membri in materia di sicurezza nazionale. Ancora, altrettanto rilevante, specie in questi anni in cui la politica estera è tornata sulla scena con drammatico vigore, è l’art. 42, paragrafo 2 TUE, ove si legge che «La politica [estera] dell’Unione […] non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri».
A livello concettuale, dunque, si tratteggiano in modo esplicito i confini dei rapporti tra Unione e Stati. Non a caso, nel più analitico Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), così come in sede di singoli Regolamenti, il richiamo alla sicurezza nazionale, variamente declinata come pubblica sicurezza, ordine pubblico e via dicendo, si presta ad essere parte integrante del diritto europeo. Gli esempi sono tanti: all’art. 65 TFUE, si prevede la possibilità di derogare alla libera circolazione dei capitali per ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza; allo stesso modo recita l’art. 53 TFUE in tema di libertà di stabilimento; oppure, nel regolamento concentrazioni del 2004, all’art. 21, comma 4, si afferma che gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal regolamento e tra gli interessi legittimi è menzionata, ovviamente, la pubblica sicurezza.
Da qui, il grande quesito: se è vero che la sicurezza nazionale è di competenza degli Stati membri, allo stesso tempo l’eccezione di sicurezza nazionale è parte integrante del diritto europeo, che la contempla quale proprio limite di operatività. Dunque, si è ancora all’interno del diritto europeo – e relativa sovranità – nel momento in cui si invoca l’eccezione di sicurezza nazionale, o si è già in ambito di competenza esclusiva – e relativa sovranità – degli Stati membri? Il tema non è di poco conto e rileva in termini di discrezionalità nell’utilizzo di tale prerogativa. Se si è in ambito di competenza assoluta ed esclusiva dello Stato, sarà sufficiente per questo invocare l’eccezione di sicurezza nazionale, senza che tale richiamo sia in alcun modo sindacabile, proprio perché a decidere su “cosa è” sicurezza nazionale è lo Stato stesso. Se invece si considera che la stessa eccezione fa parte anche del diritto europeo – in quanto questo la pone, facendone derivare i soprarichiamati effetti – allora, forse, tale discrezionalità in capo allo Stato non sarà assoluta, bensì dovrà sottostare ad un vaglio anche da parte delle istituzioni europee. Un tanto comporterebbe, però, una problematica condivisione della competenza esclusiva.
Tali tensioni si rinvengono anche in altre realtà. Si pensi al già citato art. XXI del GATT, che permette l’implementazione di misure protezionistiche se necessarie per ragioni di sicurezza nazionale. Ad esempio, a tale clausola si sono richiamati unilateralmente gli Stati Uniti nel 2018 per giustificare le tariffe di Trump su acciaio, alluminio e altri prodotti. Come e chi può opinare tale scelta? La giurisprudenza del WTO in materia è scarna, ma rimane interessante l’arresto nel 2019, nel caso Russia – Traffic in Transit Dispute Settlement Panel: l’organismo ha riconosciuto la propria competenza a valutare se il richiamo all’eccezione di sicurezza nazionale è giustificato o meno; solo che, una volta espressa la valutazione, anche se l’eccezione viene considerata ingiustificata, lo Stato può comunque proseguire la propria azione sotto lo scudo dell’art. XXI (Heydon 2023). Non sorprende, dopodiché, che nel dicembre 2022 l’OMC abbia ritenuto l’invocazione da parte di Trump dell’art. XXI per le sue tariffe sull’alluminio e acciaio ingiustificata (dopotutto, non si capisce bene cosa c’entri la sicurezza nazionale); ciononostante, non vi sono state conseguenze, a riprova dei limiti delle istituzioni sovranazionali quando vi è di mezzo la sicurezza nazionale.
L’Unione europea però non è il WTO. E sulle sue prerogative, anche in tema di sicurezza nazionale, i confini sono meno nitidi, essendo il costrutto qualcosa di più di un semplice trattato internazionale. È indicativo l’approccio della Commissione nel caso VIG 2022, in campo assicurativo: in quel frangente, la Commissione Europea ha stabilito che la decisione del Governo ungherese di porre il proprio veto, per ragioni di sicurezza nazionale, all’acquisizione del controllo esclusivo della AEGON Hungary Holding B.V., della AEGON Hungary Holding II B.V., della AEGON Poland/Romania Holding B.V. e della AEGON Turkey Holding B.V. (congiuntamente “Aegon”), da parte della Vienna Insurance Group AG Wiener Versicherung Gruppe (“VIG”), ha violato l’articolo 21 del Regolamento europeo sulle concentrazioni (European Merger Regulation, EUMR). La vicenda si è poi risolta con un accordo tra la controparte ungherese e quella austriaca, ma è stata un’occasione per le istituzioni europee per esprimere alcuni principi in tema di richiamo unilaterale alla sicurezza nazionale da parte degli Stati membri: al par. 36 della decisione della Commissione si legge che il concetto di pubblica sicurezza, nella sua veste di deroga ai principi di libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, «deve essere interpretato restrittivamente» e il suo ambito di applicazione «non può essere definito unilateralmente dallo Stato membro senza che tale definizione sia soggetta al controllo delle istituzioni dell’Unione», con la conseguenza che «la sicurezza pubblica può essere invocata solo se esiste una minaccia reale e sufficientemente grave a un interesse fondamentale della società». Peraltro, ha specificato la Commissione, l’esperienza mostra come sia raro che la sicurezza pubblica venga in rilievo nei casi di fusione nel settore assicurativo (Carpagnano 2023). Non diverse le conclusioni della Corte di Giustizia nel noto caso Xella, riguardante sempre un veto posto dall’Ungheria, questa volta in una operazione in ambito edile. La pronuncia, oltre ad affrontare un tipico dilemma delle normative sugli investimenti esteri (conta più la legge cui è sottoposta la società o la nazionalità di chi la controlla?), si sofferma sulla ragionevolezza o meno dell’eccezione di Budapest, ribadendo la necessità di una interpretazione restrittiva e non unilaterale.
Ebbene, tali principi pongono una grande sfida teorica in tema di sovranità sulla sicurezza nazionale. Certo, vi è da dire che il caso VIG, e la relativa assertività della Commissione, presenta diverse peculiarità: la definizione dell’operazione nelle more da parte dei privati; il fatto che essendo la stessa in ambito assicurativo risultava abbastanza intuitiva la forzatura del richiamo alla sicurezza nazionale; la circostanza che si trattava dell’Ungheria, paese non equiparabile a Germania o Francia e spesso in attrito con le istituzioni europee, che avevano dunque più facilità a censurarne i comportamenti. Il nodo però rimane. Se è lo Stato che decide, discrezionalmente, sulla sicurezza nazionale, le istituzioni europee non dovrebbero potere opinare. Invece, i principi avanzati dalla Commissione, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, vanno più nella direzione di una competenza sulla sicurezza nazionale semi-condivisa: la decisione dello Stato membro non deve essere unilaterale, dovendo in qualche modo superare un vaglio di proporzionalità e ragionevolezza in dialogo con le istituzioni comunitarie, che in questo modo prendono, seppure indirettamente, parte nella decisione sovrana sulla sicurezza nazionale.
La testimonianza di una cessione di sovranità da parte degli Stati anche in questo campo così centrale? In generale, vi è da dubitarne: in ultima istanza, tale prerogativa, con annessi usi e abusi, rimarrà in capo agli Stati, salvo, forse, casi eclatanti – quello VIG, inerente all’ambito assicurativo, ha sicuramente facilitato la posizione assertiva della Commissione, così come quello Xella in campo edile. Ciononostante, lo spettro del vaglio delle istituzioni, nel tentativo di evitare utilizzi dell’eccezione di sicurezza nazionale nelle operazioni intra-europee, rimane. Tale crepa smaschera la contraddizione, probabilmente insanabile, del costrutto comunitario: l’inespugnabilità della competenza degli Stati membri in materia di sicurezza nazionale unita alla sua sussunzione nella dimensione comunitaria. Tematica che sarà centrale nella ridefinizione dell’infrastruttura europea al termine, se mai vi sarà un termine, di questo interregno, ove soprattutto in materia di controlli sugli investimenti esteri si è registrata una certa anarchia, tale per cui i paesi membri hanno alzato diversi muri protezionistici anche all’interno del mercato unico. Rimarranno, insiti alle dinamiche interne del costrutto comunitario e nascosti sotto l’ombrello dell’eccezione di sicurezza nazionale, o l’Unione europea riuscirà a risolvere tale contraddizione? Chi scrive è più persuaso dalla prima ipotesi, ma in ogni caso la problematica passa proprio per l’interrogativo oggetto di questa puntata della rubrica: chi decide sulla sicurezza nazionale?